Il pesce nella dieta mediterranea: l’elisir di lunga vita…


IL PESCE NELLA DIETA MEDITERRANEA: L’ELISIR DI LUNGA VITA a cura della Dott.ssa Claudia Savina


Breve Excursus del Pesce nella Storia

Sin dagli albori dell’umanità il pesce è stato un alimento fondamentale nell’alimentazione umana, fonte di proteine e grassi per la maggior parte delle comunità perché abbondantemente reperibile rispetto ai prodotti della caccia, dalle carni tenere e facili da cuocere. Questa evidenza è vera oggi come allora, anche e soprattutto nella dieta mediterranea, nell’ambito della quale, il pesce rappresenta uno dei cardini non solo per l’apporto di proteine ad elevato valore biologico ma anche per l’apporto di nutrienti essenziali quali acidi grassi omega-3, vitamine A, D e B, sali minerali come ferro, fosforo, iodio e selenio.

Le prime tracce della presenza del pesce nell’alimentazione umana risalgono a circa 2 milioni di anni fa nel continente africano, il cuore della civiltà. Per un lunghissimo lasso di tempo, l’alimentazione preistorica, che abbraccia tutte le epoche del paleolitico, si basava sui prodotti della caccia, della pesca e dei raccolti del mondo vegetale cresciuti spontaneamente.

Sembra che vi sia stata una fase iniziale, in cui probabilmente i primi Ominidi (Homo habilis) furono essenzialmente predatori di carcasse di animali abbattuti dai grandi carnivori, una sorta di spazzino della savana. Successivamente, con la necessità di tagliare la carne i nostri antenati cominciarono a costruire i primi strumenti, abilità, questa, dovuta alla capacità di immaginare la forma, frutto a sua volta, della capacità di riflessione astratta. Pertanto, grazie all’uso delle prime armi e di oggetti taglienti, ricavati dalla pietra e dagli scheletri delle carcasse, gli animali cacciati furono i grandi mammiferi tra cui elefanti, rinoceronti, cervidi, felini, orsi; più facile fu probabilmente la caccia a mammiferi di taglia minore, quali marmotte, caprioli, ghiottoni, castori e lepri.

Circa 1 milione di anni fa con l’Homo erectus, dotato di un cervello di 800 cm3, con la necessità della cooperazione, iniziava la caccia organizzata in gruppi, epoca in cui sembra sia nato il linguaggio.

Al Paleolitico Superiore risale la caccia di mammiferi di taglia minore come bovidi e agli equidi, come attestato dalle numerose manifestazioni d’arte parietale e mobiliare, che furono da alcuni autori interpretate come oggetto di riti venatori e secondo alcuni opera delle donne, che rimanevano a curare la prole e il focolare domestico, piuttosto che degli uomini che erano impegnati nell’approvvigionamento di cibo.

Accanto agli alimenti ottenuti per mezzo della caccia e della pesca un ruolo importante ebbero quelli provenienti dalla raccolta dei prodotti spontanei come frutti selvatici, bacche, tuberi, rizomi, bulbi, radici, germogli e forse anche fiori e foglie commestibili. Un prodotto particolare fu il miele selvatico la cui raccolta è raffigurata in una pittura rupestre paleolitica sulle pareti della Cueva de la Arana Spagna.

Da un punto di vista evolutivo, il passaggio dalla visione dicromatica (basata su 2 tipi di coni – i fotorecettori della retina) che consentiva la percezione della semplice luminosità a quella tricromatica (basata su 3 tipi di coni) che consentiva la visione dei colori, dello sfondo, amplificando i contrasti, è considerato un adattamento dei primi fruttivori. Questa evoluzione della visione avrebbe consentito agli Ominidi di distinguere le foglie più tenere e quindi “commestibili” da strutture più rigide come le parti legnose di alberi ed arbusti. La visione del colore inoltre sin da allora avrebbe consentito di distinguere l’edibile, innocuo sul profilo della sicurezza, dal non edibile, velenoso e mortale.

Nell’ambito del pescato, un alimento fondamentale delle popolazioni paleolitiche, ed in particolare per quelle del Mesolitico, era costituito dai molluschi, sia terrestri che marini, di cui si rinvengono numerosi gusci nelle campagne di scavo, come evidenziato in un recente studio, che sottolinea proprio l’importantissimo ruolo di questi nell’evoluzione dell’encefalo. Le ricerche mostrano che all’ecosistema marino ed in particolare ai molluschi marini, ricchi di acidi grassi polinsaturi a catena lunga essenziali per lo sviluppo del cervello, si deve questo ulteriore vantaggio evolutivo. I molluschi marini erano infatti fruibili in abbondanza, facili da reperire e conservare, disponibili per tutta la comunità, a differenza dei prodotti della caccia destinati a una nicchia di eletti.

La scienza ci dimostra come alcune scelte alimentari (nicchia trofica come viene definita dagli ecologi) abbiano fatto la differenza, favorendo l’evoluzione del genere umano. L’alimentazione onnivora (frutti, tuberi, uova di uccelli, carne) dell’Homo habilis consentì un maggiore sviluppo della scatola cranica (700 cm3) rispetto a quella (500 cm3) dell’Australopithecus boisei (l’attuale Paranthropus boisei) che aveva una dieta vegetariana a base di vegetali coriacei, radici e noci e pertanto aveva una mascella più sviluppata e potente con grandi fasce muscolari necessarie per la masticazione.
Se molluschi e carne cruda ci hanno fatto diventare umani il fuoco e la cottura del cibo ha dato un’ulteriore spinta all’evoluzione del nostro cervello. 800 mila anni fa circa con la scoperta del fuoco e della cottura migliorarono digeribilità e sicurezza delle carni riducendo le intossicazioni. Sembra che la cottura, rendendo gli alimenti più digeribili, abbia determinato un accorciamento dell’intestino rispetto alle scimmie antenate mentre il cervello più grande, come accennato poc’anzi, serviva per le battute di caccia e per una vita sociale più complessa.

A parte l’uomo di Neanderthal (tra 200 mila e 40000 anni fa) che sembra praticasse il cannibalismo rituale per integrare la dieta nei periodi di carestia, la dieta degli ominidi era una dieta mediterranea, basata su frutti e vegetali raccolti, dove carne, pesce e uova rivestivano un valore sociale e rituale che consentirono il vantaggio evolutivo sugli ominidi che non sfruttarono queste scelte e che, nel giro di poco, si estinsero.

35 milioni di anni fa l’Homo Sapiens sapien, a causa di un riscaldamento climatico, assistette all’estinzione dei mammut e di altre specie animali e per la scarsità sei raccolti naturali nacquero l’agricoltura e l’allevamento, quando l’uomo si accorse che piante commestibili nascevano e crescevano nelle latrine e nei mucchi di scarti alimentari grazie ai frutti che contenevano i semi (chi mangiava il frutto diffondeva il seme). I cereali coltivati risalgono a 10 mila anni fa quando con l’ultima glaciazione si estinsero l’80% dei grandi animali (cavalli mammut e rinoceronti lanosi) con sopravvivenza in:

  • America Centrale e Meridionale, su 24 specie addomesticabili, dell’antenato del lama e dei tacchini (forse a causa della scarsa disponibilità gli Aztechi praticavano il cannibalismo),
  • Africa nera su 51 specie animali nessuna venne addomesticata,
  • Eurasia, su 72 specie di grandi animali addomesticabili, 13 specie (dall’uro 3 varietà di mucche, dal tarpan il cavallo domestico, dal bezoar la capra, dal muflone la pecora) e i grandi animali domestici vennero utilizzati per il traino ma consentirono anche un più rapido sviluppo e gli animali domestici vennero utilizzati come mezzi di conquista poiché veicolo di malattie, una prima arma biologica…

Ciò che rivoluzionò però l’alimentazione dell’uomo preistorico, come pure tutta la sua economia e il suo modo di vivere, fu la coltivazione delle piante (cereali) e l’allevamento del bestiame, da cui trasse da un lato farine e vegetali commestibili e dall’altro carne, grassi, latte.

Grano, orzo, piselli, lenticchie e ceci erano tra le piante selvatiche divenute domestiche con ottimo contenuto calorico e proteico. Si selezionarono le specie con le spighe più folte e il baccello più resistente con sviluppo di varietà più grandi e resa migliore.

In ogni modo queste popolazioni neolitiche continuarono per lunghi secoli a praticare la caccia, la pesca e la raccolta perché le loro tecniche agricole erano ancora troppo primitive per garantire una produzione di cibo sufficiente alla sopravvivenza della comunità.
La loro agricoltura era ciclica e itinerante: non conoscendo le tecniche per rinnovare la fertilità del suolo con la concimazione e la rotazione dei coltivi, la terra si esauriva rapidamente, ecco perché i villaggi neolitici avevano una durata molto breve, non più di 8-15 anni. Anno dopo anno si abbatteva un tratto di foresta e si dissodavano nuovi terreni. Al momento che i campi diventavano troppo lontani, si abbandonava il villaggio per trasferirsi altrove.

Nel corso del quarto millennio a.C. si verifica quasi una seconda rivoluzione neolitica, gli animali non vengono più allevati esclusivamente come produttori di carne, ma anche per i loro prodotti secondari, in particolare latte e lana, e come trazione. La trasformazione di questi prodotti si tradusse in una migliore qualità e durata della vita.

Grazie alle pitture tombali è stato possibile risalire alle tecniche di pesca, pulitura del pescato e sistemi di conservazione utilizzati dalle popolazioni preistoriche.
La pesca si svolgeva in acqua salata, in mare, o in acqua dolce, lungo i corsi d’acqua o nei laghi. Si utilizzavano ami, ricavati dal becco dell’aquila e dagli artigli di falco, arpioni, armi da getto, reti, a strascico o fisse.
Si organizzavano delle vere e proprie battute di pesca per spaventare e spingere il pesce, come nelle moderne tonnare.
Altrettanto frequente in certi siti del Paleolitico superiore, come ad es. alla Grotta Romanelli in Puglia, fu la caccia agli uccelli acquatici.

Egiziani e Babilonesi

pesce nella dieta mediterranea

Gli Egiziani catturavano il pesce con arpioni e bidenti, o con nasse piazzate lungo il fiume. I ricchi Egiziani e Babilonesi disponevano inoltre di vivai, ottenuti deviando il corso delle acque in bacini chiusi, in cui allevavano pesci e molluschi.
La tecnica di pesca degli Egiziani era simile a quelle delle moderne tonnare, si spaventava il pesce spingendolo verso le reti e si catturava con arpioni e bidenti o con nasse piazzate lungo il fiume.

Greci

pesce nella dieta mediterranea

La vita dei greci ruotava intorno all’agorà e il pesce, sia di acqua dolce che salata, veniva venduto al mercato, fresco, affumicato o in salamoia, definendo uno status, poichè i pesci di piccola taglia erano economici rispetto ai quelli da grande tagli costosi e riservati a pochi che potevano permetterseli. I mercati dell’antica Grecia erano ricchi di:

  • tonno che veniva tagliato a pezzi, arrostito, insaporito con salse, condito con olio di oliva, marinato in salamoia piccante
  • triglie che venivano cosparse di formaggio, sale e cumino ed infine irrorate di olio
  • orate che erano arrostite, spruzzate d’aceto, condite con un filo di olio
  • anguille che venivano cotte alla brace, avvolte in foglie di bieda
  • aragoste che erano cotte alla griglia, con un pizzico di sale ed un filo di olio
  • i pescetti che venivano fritti in olio con ortiche di mare e pisellini dolci.

Romani

pesce nella dieta mediterranea

Rispetto ai Greci, i Romani conobbero più tardi il pesce, i loro primi allevamenti risalgono all’epoca degli antichi romani che avevavo:

  • vivai d’acqua dolce
  • vivai d’acqua di mare con fondo sabbioso per pesci grandi (pesce grande mangia pesce piccolo) e fondo limaccioso per pesci piatti e conchiglie (formaggio, frutta e interiora di pesce)

Anche presso i Romani il tipo di pesce acquistato e consumato definiva uno status, i Patrizi potevano accedere al pesce fresco (sogliole, orate, triglie, murene, anguille, rombi) mentre i plebei potevano permettersi pesci conservati (sottosale).

Medioevo

Nel medioevo il pesce aveva un ruolo primario nell’alimentazione delle popolazioni costiere di tutto il bacino mediterraneo. La diffusione fu favorita grazie ad affumicamento e alla salagione poiché ne consentivano il trasporto, nelle zone interne e da un paese all’altro con particolare fortuna e diffusione fino alla fine del XVIII secolo.
Inizialmente il consumo di pesce diminuisce perché associato al culto di Venere e veniva consumato sempre di venerdì. Successivamente il consumo di pesce fu indirettamente incoraggiato dalla chiesa come alimento concesso nella pratica del «giorno di magro» (quaresima + vari giorni religiosi = 130 giorni circa) e riducendosi le importazioni di spezie dall’Oriente aumentarono i condimenti a base di spezie ed erbe locali, fu introdotto il burro nei paesi europei del nord. Dal VII secolo le aringhe divengono la principale merce di scambio soprattutto quelle con sapore selvaggio e senza visceri. L’eviscerazione del pesce era talmente richiesta che nacquero le scorticatrici, una nuova figura professionale.

Umanesimo

All’inizio del XV secolo (1400) le navi europee veleggiavano nell’Atlantico per spedizioni di pesca che duravano più di sei mesi. Nel 1497, durante uno di questi vecchi, Giovanni Caboto, alla ricerca dei merluzzi, scopre il Canada e quindi si abbandonano le rotte verso l’Islanda. L’importanza del merluzzo è tale che sembra sia stata la causa della guerra di successione spagnola e di quella dei sette anni.

Il pesce che ha fatto la storia

Il merluzzo, per circa 300 anni, fu la merce più importante del commercio internazionale, detenendo una posizione paragonabile a quella del petrolio alla fine del XX secolo

Il Pesce nella Cucina Italiana

pesce nella dieta mediterranea

Oggi il pesce riveste ancora un ruolo fondamentale nell’alimentazione umana sana ed equilibrata tanto è che ne viene consigliato il consumo 3 volte alla settimana in quanto eccellente fonte di proteine, povera in grassi per lo più omega-3, ricco in sali minerali quali fosforo, calcio, iodio, ferro e vitamine.
Il pesce è un alimento leggero e gustoso, forse ancora poco trasversale e se in passato era appannaggio di cuochi e chef, perché considerato un alimento la cui preparazione risultava impegnativa e laboriosa, oggi è ritenuto alla portata di tutti, cucinato in casa, sia per i menù delle feste che per quelli di tutti i giorni.

La maggiore diffusione del pesce è dovuta al fatto che, viene venduto già pulito, squamato, eviscerato, spellato e sfilettato, pertanto tutte le operazioni che richiedono un po’tempo vengono saltate consentendo anche ai neofiti di cimentarsi nella preparazione di portate di pesce nutrienti e leggere, dalle cotture veloci e poco laboriose Il buon pesce non richiede dei gran condimenti, anzi per assaporarlo in tutta la sua bontà è preferibile utilizzare pochi ingredienti dal gusto semplice, riservando l’utilizzo di spezie con carattere per ricette tipiche, può essere cucinato al vapore, bollito, alla brace, al forno, fritto, in padella (affogato, saltato), in umido. Il pesce è versatile, si presta alla preparazione di antipasti, primi, zuppe, piatti unici e secondi, si può spaziare dalle ricette classiche e regionali a quelle internazionali, originali e innovative della cucina “fusion”. Nei menù a base di pesce i sapori dovrebbero seguire un crescendo di intensità: pesce crudo, pesce arrostito o in frittura per terminare con il pesce in umido.

In particolare, la cucina tradizionale italiana a base di pesce si fonda su ricette originarie delle zone costiere, in particolare Sicilia e Venezia per le ricette per il pesce di acqua salata, zone lungo il Po ed i sui affluenti, Lombardia e Lazio dove si trovano i maggiori laghi italiani per le ricette di pesci di acqua dolce. Quest’ultimo, non è inferiore al pesce di acqua salata, sia per la qualità che per la delicatezza delle carni. Il pesce di acqua salata è comunque il più diffuso sia per la maggiore estensione geografica delle acque salate e delle coste rispetto ai laghi e ai fiumi.

Un banco ben fornito di pesce offre varietà nella tipologia e nei prezzi, dall’economico pesce azzurro alla costosa raffinata aragosta. I pesci più conosciuti e che finiscono più spesso sulle nostre tavole sono i soliti 5-6 tipi (sogliola, merluzzo, spigola, orata, gamberetti, vongole), nel Mediterraneo se ne pescano 143 tipi e seguendo il calendario della stagionalità si può ampliare la scelta che, divenendo rispettosa dei ritmi della natura, è anche ecologica ed ecosostenibile.

A proposito di scelte ecologiche ed ecosostenibili è onesto dare qualche accenno all’Acquacoltura

Cenni storici

Per Acquacoltura si intende un insieme di tecniche conosciute sin dai tempi antichi ed in particolare sviluppatasi sotto i Romani che allevavano anguille e murene (denominate quest’ultime “il cibo degli dei”). Molte strutture (vivai) sono state rinvenute a: Ponza (i murenari), nei pressi di Napoli, Civitavecchia, Isola del Giglio , etc. Il ciclo riproduttivo era sempre di tipo naturale ma in ambienti confinati con ricambi di acqua sfruttando il ciclo delle maree. Detta tecnica del Piglia e Lascia da ancora il nome dialettale a quelle zone in Romagna denominate Pialasse zona di Comacchio. Intorno alla metà del 700 Stephen Ludwig Jacobi sviluppò la riproduzione artificiale delle trote che diede il via alla acquacoltura moderna. Esistono diverse tipologie di impianti:

pesce nella dieta mediterranea

  • Impianti in ambiente acqua dolce su fiume
  • Impianti in ambiente acqua di mare (Piombino) o salmastre (Orbetello)
  • Impianti in ambiente acqua di mare si distinguono a loro volta essenzialmente in tre tipi:
    • Impianti a terra
    • Impianti in mare aperto
    • Impianti misti
  • a terra per la produzione di Larve ed Avanotti
  • in mare per l’ accrescimento

Impianti a Mare

  • Vasche differenziate per accrescimento sino a dimensioni commerciali
  • Pesca e vendita del prodotto e/o riutilizzo per ripopolamento
  • Diciamo che la differenza essenziale è che a terra si può operare col ciclo completo a mare si deve partire dall’ acquisizione degli avanotti accresciuti
  • Tutti gli impianti devono essere sottoposti a Valutazione Impatto Ambientale e necessitano del rispetto delle opportune autorizzazioni Igienico Sanitarie ed Ambientali.
  • Ovviamente la qualità delle acque di immissione e/o acque di mare utilizzate nelle devono rispondere a precisi requisiti antiinquinamento.
  • Così pure come la qualità delle farine per l’ alimentazione può dare un prodotto di migliore qualità.
  • Ciò che garantisce il rispetto degli standard del processo è di solito dato dall’ impresa dalla certificazione di Qualità acquisita dall’ impianto e dal rispetto dei protocolli stabiliti di concerto con l’ Ente di Controllo ASL.

In sintesi per gli impianti a mare

  • qualità delle acque
  • qualità delle farine e dei nutrienti
  • scarso utilizzo degli antibiotici e di fitofarmaci
  • qualità del sistema di pesca e di incassettamento e/o commercializzazione
  • smaltimento del prodotto non commerciabile

Impianti a Terra

Ve ne sono di vari tipi ma nei più completi (Civitavecchia) si compie l’intero Ciclo:

  • Fecondazione ovuli prodotti dalle fattrici in maniera naturale
  • Schiusa delle uova fecondate , produzione naturale di larve e di avanotti
  • Produzione di plancton e fitoplancton per alimentare larve e gli avanotti
  • Vasche differenziate di accrescimento degli avanotti con o senza pesca e vendita degli avanotti
  • Vasche differenziate per accrescimento sino a dimensioni commerciali ( pesce grande mangia pesce piccolo)
  • Pesca e vendita del prodotto commerciale
  • Una particolarità degli impianti a terra è il possibile utilizzo di acqua di mare a temperatura più elevata che garantisce un più rapido accrescimento.

In sintesi per gli impianti a terra

  • qualità e ossigenazione delle acque
  • qualità delle farine e dei nutrienti
  • scarso utilizzo degli antibiotici fitofarmaci
  • trattamento delle acque prima della restituzione
  • qualità del sistema di pesca e di incassettamento e/o commercializzazione
  • smaltimento del prodotto non commerciabile.

Conclusioni

In un mondo in cui siamo incalzati da ritmi sempre più frenetici e stressanti, che tolgono tempo alla calma, al riposo, alla cura del sé e alle scelte pensate, in cui le innovazioni tecnologiche riducono sempre più il movimento fisico con conseguente vertiginoso aumento del sedentarismo e alla parallela notevole disponibilità del cibo spazzatura, il “junk food”, ricco in grassi, carboidrati per lo più semplici e raffinati, ad elevata densità energetica, economico e facilmente reperibile, è il caso, forse, di fermarsi, di scegliere di tornare a ritmi di vita più rispettosi dell’essere umano perché le scelte sane possono ancora una volta fare la differenza.
Infatti, possiamo affermare che, oggi come allora, quello che mangiamo fa la differenza, non solo nel breve, medio e lungo termine per ciascun individuo ma anche e soprattutto per le generazioni future. E’ il caso di ripetere che siamo quello che mangiamo e che quello che mangiamo determina anche l’evoluzione e la selezione della specie come dimostrano recenti studi di fetal programming che hanno ampiamente dimostrato il potere plastico sui geni del feto di una iper-alimentazione materna con conseguente ereditarietà, da parte del feto e della prole della prole, di malattie cronico-degenerative.
Forse è arrivato il momento di dire che abbiamo sbagliato tutto e siamo ancora in tempo a tornare indietro!

Bibliografia:

  • Kandel ER, Schawartz, Jessell TM.Principi di Neuroscienze. – Casa Editrice Ambrosiana. II Edizione Italiana. Milano 1994.
  • Savina. C.Colore e scelta alimentare: aspetti psicofisiologici. – Tesi di Laurea in Medicina e Chirurgia. AA 1998-1999. Roma 04.11.1999. Relatore Prof. Cannella C.
  • Kyriacou K, Parkington JE, Marais AD, Braun DR.Nutrition, modernity an the archaeological record: coastal resources and nutrition among Middle Stone Age hunter-gatherers on the Western Cape coast of South Africa. – J Human Evol, 2014;77:64-73.
  • Mylona D.Aquatic animal resources in Prehistoric Aegean Greece. – J Biological Research -Thessaloniki, 2014;21:2.
  • Belitz HD e Grosch W.Food Chemistry – Pag. 581-601. Seconda Edizione. Springer-Verlag. Berlin Heidelberg 1999.
  • Pesce. L’enciclopedia della Cucina Italiana. – Volume 6. Pag 6-9. Novara 2007. Istituto Geografico De Agostini Spa. Mondadori Printing.
  • Focus EXTRA.Il cibo. – Ci da nutrimento e piacere. Ha segnato la storia dell’umanità. E’ la sfida più importante del nostro futuro. – Volume 63. Primavera 2014. Milano. Mondadori Spa.
  • National Geographic Italia.Cibo per l’anima. A tavola rinsaldiamo i legami e celebriamo la vita. – Dicembre 2014. Gruppo Editoriale L’Espresso Spa.

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